Su Nature il paper di un team internazionale di scienziati, tra cui il paleontologo federiciano Pasquale Raia del DISTAR, che ha dimostrato una correlazione tra i cambiamenti climatici e l’evoluzione della specie umana
È stato dato a lungo per scontato che i cambiamenti climatici avessero avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione del nostro genere Homo. Tuttavia l’inadeguatezza di set di dati paleoclimatici e l’imprecisione nel rappresentare la storia ambientale di regioni interessanti sul piano antropologico hanno sempre reso difficile quantificare il collegamento. Lo studio pubblicato su Nature si è avvalso di un database ricco di occorrenze antropologiche (datazione radiometrica) e dati paleoclimatici sugli ultimi due milioni di anni su scala planetaria. Il team trasversale annovera esperti paleoclimatologi, antropologi ed ecologi che sono riusciti a determinare le condizioni ambientali in cui vivevano i nostri antenati.
Facendo affidamento su numerose simulazioni paleoclimatiche, il team ha ricostruito le condizioni climatiche ottimali e quelle effettive relativamente a tutte le specie appartenenti al genere Homo. L’ultima fase di lavoro ha permesso di stimare i luoghi in cui tali condizioni si sono realizzate nel corso della storia evolutiva umana, luoghi che hanno dunque rappresentato le aree che potenzialmente hanno ospitato i nostri antenati.
Un supercomputer per mettere insieme i dati
Raccolte di dati e simulazioni paleoclimatiche sono state fornite dall’IBS Center for Climate Physics, avanguardistica infrastruttura di supercalcolo di un ateneo sudcoreano.
I dati da incrociare tengono conto anche di quegli eventi astronomici che hanno generato modificazioni nella temperatura, nelle precipitazioni e quindi nelle fonti di sostentamento degli ominidi forzando cambiamenti nelle distribuzioni della popolazione.
Sebbene ogni specie umana abbia avuto delle peculiari preferenze ambientali, nel corso del tempo queste preferenze sono state influenzate dai cambiamenti climatici dovuti legati a loro volta a cambiamenti astronomici, come ad esempio la variazione dell’oscillazione dell’asse terrestre e dell’eccentricità dell’orbita terrestre, con tempi ciclici che vanno da 21 a 400 mila anni.
Durante il Pleistocene inferiore, gli ominidi si stabilirono principalmente in quegli ambienti con una variabilità climatica minore. Questo comportamento è cambiato dopo la transizione del Pleistocene medio, quando gli esseri umani arcaici hanno cominciato a vagare ovunque affrontando un’ampia gamma di gradienti climatici. L’analisi suggerisce inoltre che le interruzioni climatiche nell’Africa meridionale e nell’Eurasia hanno contribuito alla trasformazione evolutiva delle popolazioni di Homo Heidelbergensis rispettivamente in Sapiens e Neanderthal.
Sfida tra ominidi
«Le specie più antiche vivevano in climi stabili e non hanno cambiato i loro habitat. Invece le specie più recenti, quando hanno incontrato cambiamenti climatici più marcati hanno cercato di adattarsi. Quando non l’hanno fatto si sono ‘trasformate’ in altro…»
Pasquale Raia e Alessandro Mondanaro in un’intervista all’ANSA
La scoperta ricostruisce la storia evolutiva delle specie umane che si sono alternate negli ultimi 2 milioni d’anni. Più precisamente, le simulazioni del modello di circolazione generale accoppiate con un’ampia raccolta di reperti fossili e archeologici hanno consentito di studiare le dinamiche spaziotemporale e geografiche dell’habitat di cinque specie di ominidi nell’arco degli ultimi due milioni di anni.
Con un focus sulle specie estinte, si è visto come queste, negli ultimi momenti della loro storia evolutiva, fossero in sovrapposizione territoriale con quelle specie ominidi che poi le hanno soppiantate. Ciò è avvenuto in aree potenzialmente occupabili da diverse specie di ominidi con preferenze climatiche iniziali molto simili tra loro.
Insomma solide simulazioni numeriche dei cambiamenti dell’habitat indotti dal clima forniscono un quadro per verificare le ipotesi sulle origini della specie umana.
La storia evolutiva umana è diventata un tema di grande interesse per la ricerca scientifica a causa soprattutto della necessità di prevedere l’impatto del cambiamento climatico sui biomi e quindi sullo stile di vita dell’umanità futura. I principali ostacoli lungo questo percorso scientifico sono la scarsa risoluzione dei dati climatici del passato e l’inconsistenza del record fossile.
Per approfondire
- Climate effects on archai human habitats and species successions (2022), Nature, 604, 495–501 (https://doi.org/10.1038/s41586-022-04600-9)