
Uno studio pubblicato su Nature Communications Earth & Environment rivela che gran parte dell’energia sismica si dissipa in calore e fratturazioni delle rocce, frenando naturalmente la crescita dei terremoti nella caldera flegrea
Un gigante inquieto alle porte di Napoli

Perché i terremoti ai Campi Flegrei, pur numerosi, restano di intensità moderata? Un nuovo studio guidato da Sahar Nazeri e Aldo Zollo del Dipartimento di Fisica “E. Pancini” dell’Università di Napoli Federico II, in collaborazione con Titouan Muzellec (Dottorato all’Università di Napoli Federico II ed attualmente all’Università di Vienna) e Giulio Di Toro (Università di Padova), pubblicato sulla rivista Nature Communications Earth & Environment, fornisce una risposta innovativa: gran parte dell’energia dei terremoti non si trasforma in onde sismiche, ma si disperde in calore e deformazione della roccia nelle zone di frattura. Questa inefficienza energetica agisce come un “freno naturale” alla crescita delle rotture sismiche, riducendo la possibilità di eventi di grande magnitudo.
La caldera dei Campi Flegrei è uno dei sistemi vulcanici più grandi e popolati del pianeta, con centinaia di migliaia di abitanti e a ridosso della città di Napoli. Formatasi in seguito a due eruzioni catastrofiche avvenute circa 39.000 e 15.000 anni fa, la caldera è tuttora sede di una significativa attività bradisismica: dal 2011 il suolo si è sollevato di circa 150 centimetri, con una velocità media di 1–2 cm al mese.
Ogni accelerazione del sollevamento è stata accompagnata da sciami di terremoti superficiali, oltre 12.000 dal 2011 a oggi, che tuttavia non hanno mai superato la magnitudo Md 4.6.

«Questi terremoti, pur essendo frequenti, restano piccoli o moderati e poco distruttivi. Ci siamo chiesti perché»
— Aldo Zollo
“La risposta sembra risiedere nell’inefficienza energetica delle faglie flegree: gran parte dell’energia liberata si perde sotto forma di calore e fratture nella roccia, riducendo la quantità di energia che si propaga come onde sismiche”, spiega Aldo Zollo, professore di Sismologia alla Federico II e autore senior dello studio.
L’energia si dissipa proprio nelle zone di frattura all’origine dei terremoti
Lo studio ha analizzato 56 terremoti principali avvenuti tra il 2020 e il 2025, utilizzando i dati di tre reti sismiche indipendenti – INGV, Rete Accelerometrica Nazionale (RAN) e ISNet dell’Università di Napoli Federico II.
I ricercatori hanno stimato che meno del 10% dell’energia di un terremoto viene convertita in scuotimento del terreno. Il resto si dissipa in processi di attrito, riscaldamento e fratturazione inelastica della crosta vulcanica.

«La maggior parte dell’energia rilasciata non arriva in superficie come onde sismiche, ma si consuma localmente, nel volume adiacente alla zona di frattura indebolendo e modificando le rocce lungo e intorno alle faglie.»
— Sahar Nazeri
“Abbiamo osservato che i terremoti ai Campi Flegrei sono energeticamente ‘inefficienti’,” spiega Sahar Nazeri, ricercatrice e prima autrice dello studio.
Le analisi mostrano inoltre che le fratture nel sottosuolo flegreo si verificano a profondità molto basse (2–4 km) e con dimensioni lineari di 100–1000 metri, propagandosi a velocità comprese tra 0.6 e 1.2 km/s, inferiori alla velocità delle onde di taglio nel mezzo.

Un legame inatteso tra stress e velocità di rottura
I ricercatori hanno individuato un legame inverso tra la quantità di stress rilasciato e la velocità con cui la rottura si propaga: più stress viene liberato, più lentamente si muove la frattura.
Secondo gli autori, questo comportamento – apparentemente controintuitivo – è dovuto al danneggiamento intenso della roccia nella zona di faglia, che assorbe energia e rallenta la propagazione del fronte di rottura.
“È un fenomeno osservato in altre zone sismiche del pianeta” spiega Titouan Muzellec, coautore e ricercatore alla Federico II.

«Quando una roccia è già indebolita o attraversata da fluidi, gran parte dell’energia sismica viene dissipata localmente, frenando la crescita del terremoto.»
— Titouan Muzellec
Un freno naturale, ma non una garanzia di sicurezza
Le conclusioni dello studio indicano che la caldera dei Campi Flegrei dispone di un meccanismo interno di autoregolazione, che tende a limitare la magnitudo dei terremoti a valori moderati (Md < 4–4.5). Tuttavia, questo equilibrio non elimina completamente il rischio.
“La presenza di faglie relativamente grandi e attive significa che, in condizioni eccezionali di stress o pressione dei fluidi, non si può escludere l’occorrenza di eventi più forti. È fondamentale continuare a monitorare l’evoluzione del sistema e mettere in atto azioni per ridurre l’esposizione della popolazione ai terremoti”, sottolinea Giulio Di Toro, professore all’Università di Padova e coautore dello studio.

«Sì, permangono l’elevata pericolosità sismica naturale e l’altissimo rischio per la popolazione a causa della vulnerabilità degli edifici.»
— Giulio Di Toro
Verso un monitoraggio integrato del rischio
Gli autori evidenziano che i risultati dello studio hanno importanti implicazioni per la valutazione della pericolosità sismica e vulcanica dei Campi Flegrei. L’integrazione tra analisi sismologiche rapide, dati geodetici e monitoraggio strutturale potrà fornire strumenti più precisi per la valutazione in tempo reale del rischio, contribuendo a una gestione più efficace delle fasi di crisi.
“Comprendere i meccanismi dissipativi dell’energia alla sorgente dei terremoti è una questione scientifica rilevante,” conclude AldoZollo, “che ha anche forti implicazioni sociali legate all’impatto che gli eventi sismici hanno sugli edifici e che dipende, in parte, dall’efficienza della radiazione sismica”.
Per approfondire
- Nazeri S., Zollo A., Muzellec T., & Di Toro G. (2025), Earthquake rupture velocity and stress drop interaction in the Campi Flegrei volcanic caldera, in Nature Communications Earth & Environment, 6, 875.
https://doi.org/10.1038/s43247-025-02808-x
