Fotografato Sagittarius A*, il buco nero al centro della galassia

C’è un buco nero supermassiccio al centro della Via Lattea e una ricerca congiunta tra Event Horizon Telescope, INAF, INFN, Università di Cagliari e Federico II ha svelato la prima fotografia in assoluto del corpo celeste


Una prova schiacciante grazie a Event Horizon Telescope (EHT)

In passato gli astronomi avevano scoperto un gruppo di stelle che si muovevano intorno a un corpo invisibile, compatto e molto massiccio al centro della galassia. Le osservazioni suggerivano che l’oggetto, chiamato Sagittarius A* (Sgr A*), fosse un buco nero. La cattura della prima immagine reale di Sagittarius A* è la conferma della presenza di un buco nero al centro della nostra galassia. Si tratta di un indizio importante per ritenere che al centro della maggior parte delle galassie ci possano essere questo tipo di corpi celesti. Il risultato è il frutto del lavoro di un team internazionale composto da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dell’Università Federico II di Napoli e dell’Università di Cagliari. L’attesissima immagine è stata scattata grazie a Event Horizon Telescope (EHT), un progetto internazionale che ha l’obiettivo di studiare l’ambiente circostante Sagittarius A*.

Da notare che il buco nero resta invisibile perché non emette luce, ma il gas che brilla attorno a esso possiede un aspetto peculiare caratterizzato da una regione centrale scura (l’ombra del buco nero) circondata da un anello di materia brillante. L’immagine cattura la luce distorta dalla potente gravità dell’oggetto dotato di una massa pari a quattro milioni di volte quella del nostro Sole.

“Siamo rimasti sbalorditi da quanto le dimensioni dell’anello siano in accordo con le previsioni della teoria della relatività generale di Einstein”, commenta Geoffrey Bower, EHT Project Scientist all’Academia Sinica di Taipei, Taiwan e della University of Hawaii at M’noa, negli Stati Uniti. I risultati sono stati approfonditi in una serie di articoli pubblicati il 12 maggio 2022, in un numero speciale della rivista The Astrophysical Journal Letters.

“È uno straordinario risultato della cui portata riusciremo a renderci conto davvero solo con il tempo”, dice il Ministro dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa. “Complimenti al grande e globale gruppo di lavoro che ha consentito di raggiungerlo e, all’interno di questo, alle scienziate e agli scienziati italiani. Questa scoperta dimostra come le reti collaborative di ricerca internazionale siano fondamentali per il progresso di tutti, di come sia importante per l’Italia farne parte investendo, in modo continuo e stabile negli anni, in grandi infrastrutture di ricerca e di dati, per rafforzarle e implementarle sempre di più, e di come si debba fare uno sforzo per preservare queste reti anche in momenti di crisi. Questo risultato ci ricorda anche che non si deve avere sempre fretta di raggiungere in pochissimo tempo un determinato risultato: la ricerca ha i suoi tempi e a questi dobbiamo avere la pazienza di adattarci, consapevoli che ne varrà sempre la pena”.

Il buco nero si trova a circa 27 mila anni-luce dalla Terra in direzione della costellazione del Sagittario e, dalla nostra prospettiva, appare nel cielo con una dimensione paragonabile a quella che avrebbe una ciambella sulla Luna. Per realizzarne l’immagine, il team ha sfruttato la rete EHT mettendo insieme otto osservatori radio-astronomici in tutto il mondo così da ottenere virtualmente un unico telescopio con una superficie grande quanto quella del pianeta Terra. EHT ha osservato Sgr A* per diverse notti nell’aprile 2017, raccogliendo dati per molte ore di seguito, in modo simile a quando si effettua un’esposizione lunga con una macchina fotografica.

Cruciale per raggiungere questo risultato è stato il contributo di ALMA, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, il più potente radiotelescopio esistente, che dal deserto di Atacama, in Cile, scruta il cosmo in banda radio a lunghezze d’onda millimetriche e submillimetriche. L’Italia, attraverso l’ESO, lo European Southern Observatory, ospita il nodo italiano del centro regionale europeo di ALMA, presso la sede dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) di Bologna.


Gli studi sul centro galattico

La scoperta arriva circa tre anni dopo la prima immagine in assoluto di un buco nero, quello collocato al centro della galassia M87, resa pubblica dal progetto EHT. Immagine che è stata definita la foto del secolo e che il Museum of Modern Art di New York ha esposto nella sua collezione permanente. Un risultato che aveva tra i protagonisti anche la docente federiciana Mariafelicia De Laurentis, professoressa di astronomia e astrofisica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

Gli studi sul centro galattico hanno consentito negli anni di eseguire molti test di verifica della relatività generale. “Le osservazioni forniscono ulteriore supporto al fatto che lo spaziotempo nell’intorno dei buchi neri è descritto da soluzioni della relatività generale, indipendentemente dalla loro massa”, commenta Mariafelicia De Laurentis, anche in veste di Deputy Project Scientist, membro del Consiglio Scientifico e coordinatrice del gruppo di Gravitational Physics di EHT, alla guida del paper sui test di gravità.

«Il risultato presentato oggi è senza precedenti perché permette molte misure originali sulla gravità e di fare nuova scienza sui buchi neri supermassicci e sul loro ruolo nell’evoluzione dell’universo: abbiamo aperto le porte di un nuovo straordinario laboratorio.»

Mariafelicia De Laurentis

L’immagine di Sgr A* è stata molto più difficile da ottenere rispetto a quella del buco nero al centro della galassia M87 nonostante Sgr A* sia molto più vicino a noi. Il team ha dovuto sviluppare nuovi sofisticati strumenti di analisi dati per calcolare il moto del gas intorno a Sgr A* e il fatto che questo impiega pochi minuti a completare un’orbita intera attorno al buco nero. Il buco nero della M87 è molto più grande e il gas, che si muove alla stessa velocità (prossima a quella della luce) attorno a entrambi i buchi neri, impiega giorni o addirittura settimane per orbitare intorno ad esso offrendo dunque un target più stabile per l’immagine. L’immagine di Sgr A* è una media delle diverse immagini estratte dal team.

“La variabilità è uno degli aspetti critici di Sgr A*: se da un lato rappresenta una grande sfida per la produzione di immagini del centro galattico, dall’altro ci fornisce uno strumento fondamentale per l’indagine dei processi fisici che vi hanno luogo”, commenta Nicola Marchili, ricercatore INAF e secondo autore di uno degli official papers, che ha lavorato all’analisi dei dati sulla variabilità temporale del buco nero. “La variabilità stimata dai dati EHT è molto inferiore a quanto atteso in base alla maggior parte dei modelli teorici correnti e pone quindi vincoli stringenti alle proprietà fisiche del buco nero”, aggiunge Marchili, che lavora presso il Centro regionale europeo ALMA a Bologna insieme alle ricercatrici INAF Elisabetta Liuzzo e Kazi Rygl, anch’esse parte della Collaborazione EHT, all’interno della quale si occupano principalmente della calibrazione dei dati.

Ricercatori e ricercatrici sono entusiasti di avere finalmente le immagini di due buchi neri di dimensioni diverse: un’opportunità per comprenderne somiglianze e differenze. Hanno anche iniziato a usare i nuovi dati per mettere alla prova la teoria e i modelli che descrivono il comportamento del gas intorno ai buchi neri supermassicci  un processo ancora non del tutto compreso ma ritenuto chiave nella formazione ed evoluzione delle galassie nell’Universo.

“Oltre a sviluppare nuovi strumenti per realizzare l’immagine di Sgr A*, il team ha prodotto milioni di immagini con diverse combinazioni di parametri per i vari algoritmi di imaging, usando grandi infrastrutture di calcolo”, aggiunge Rocco Lico, associato INAF e ricercatore presso l’Instituto de Astrofísica de Andalucía, in Spagna, co-leader di uno dei gruppi che si occupa di analisi dati nell’Imaging working group e Information-technology officer della Collaborazione EHT. “In questo processo, è stata anche compilata una biblioteca senza precedenti di buchi neri simulati da confrontare con le osservazioni”.

Questo risultato è il frutto del lavoro di oltre 300 ricercatori e ricercatrici di 80 istituti in tutto il mondo che insieme formano la Collaborazione EHT.

“Ottenere questa immagine è sempre stato il nostro obiettivo sin dall’inizio del progetto e poterla rivelare al mondo oggi ci ripaga di tanti anni di duro lavoro”, afferma Ciriaco Goddi, docente presso l’Università degli Studi di Cagliari, associato INAF e INFN, che fa parte di questa impresa sin dal 2014, come coordinatore del gruppo europeo di BlackHoleCam, uno dei progetti da cui ha avuto origine la Collaborazione EHT. “La rete EHT è in continua espansione e oggetto di importanti aggiornamenti tecnologici: così potremo avere immagini ancora più impressionanti e addirittura filmati di buchi neri nel prossimo futuro”. Il lavoro di EHT, infatti, non si ferma: lo scorso marzo è stata condotta una nuova campagna di osservazione che include tre nuovi radiotelescopi.