Pizza senza lievito? Si può fare

Nei laboratori federiciani Foamlab e RHEOLab hanno hackerato la fisica della pizza regalando speranza a chi è allergico al lievito e attirando l’attenzione delle riviste Nature e Scientific American


Pizza e polimeri

A 25 anni Ernesto Di Maio sviluppò un’allergia al lievito. Oggi il team coordinato dal docente federiciano potrebbe regalare una nuova speranza per le cene future di chi è affetto da quella stessa allergia o da intolleranze alimentari simili. La ricerca è frutto di una collaborazione tra il FoamLab e il RHEOLab, laboratori federiciani di eccellenza specializzati rispettivamente nella schiumatura di polimeri e nella misura delle proprietà reologiche dei materiali. Fanno parte del team il dottorando Pietro Renato Avallone e il tesista-pizzaiolo Paolo Iaccarino, oltre ai docenti afferenti al Dipartimento di Ingegneria Chimica, dei Materiali e della Produzione Industriale (DICMaPI) ovvero Nino Grizzuti, Rossana Pasquino ed il coordinatore Ernesto Di Maio.

Mentre una pizza tradizionale si prepara lavorando l’impasto al mattino e lasciandolo lievitare fino all’ora di cena, il procedimento scoperto dai ricercatori federiciani unisce la lievitazione e la cottura in un unico momento. Gli scienziati hanno preparato un pezzo di pasta delle dimensioni di una pallina da golf usando una ricetta napoletana standard, ma senza lievito.

Il processo biochimico attraverso cui il lievito produce le caratteristiche bolle viene sostituito da un processo fisico che prevede l’immissione di gas (elio, ossigeno o anidride carbonica) nell’impasto pressurizzato tramite un’autoclave riscaldata, una sorta di forno a pressione. L’impasto comincia il processo di cottura con un tempo sufficiente a permettere la dissoluzione del gas.

La reazione prosegue formando le bolle e rilasciando la pressione. Come quando si rilascia la pressione stappando una bottiglia contenente una bevanda gassata. Il programma di rilascio della pressione viene adeguato allo scopo di ottenere una pizza ben cotta e ben espansa.

Nel caso di una pizza preparata in modo classico, il lievito fermenta e rilascia anidride carbonica per conferire all’impasto una consistenza simile alla schiuma. Qualcosa del genere avviene per il pane. La cottura quindi tira via l’acqua e blocca le bolle d’aria. “L’impasto è una miscela complessa di diverse catene [di polimeri] che si intrecciano e creano una rete”, afferma Rossana Pasquino, coautrice e scienziata dei materiali della Federico II. “L’obiettivo è quello di ottenere la stessa consistenza della pizza classica ma senza agenti chimici”.

Uno dei coautori del paper, Paolo Iaccarino, lavora part-time in una pizzeria della Costiera Amalfitana e le sue misurazioni dell’impasto all’interno del forno a legna sono state fondamentali. “Per determinare le temperature e le velocità di rilascio di pressione ottimali, Paolo ha preso in prestito un po’ di strumentazione del laboratorio per misurare la temperatura reale dell’impasto durante la cottura in un forno tradizionale, mentre Pietro ha misurato come evolvono le proprietà reologiche dell’impasto durante la cottura” – spiega Di Maio. Rossana Pasquino ha riprodotto quelle stesse condizioni nel suo laboratorio per misurare la reologia dell’impasto, la sua deformazione sotto stress.

La parte difficile è la regolazione della pressione e della temperatura per raggiungere il picco di schiumatura proprio nel momento in cui l’impasto si stabilizza. In pratica si cerca di far schiumare l’impasto come la birra. “Bisogna ridurre la pressione mentre la pasta sta diventando solida”, dice Ernesto Di Maio. “Se riduci la pressione troppo dopo che l’impasto si è solidificato, allora la pizza si spacca. Se invece il rilascio della pressione è troppo anticipato allora la pizza collassa.”

Il risultato sperimentale della ricerca è una pizza minuscola (circa 1-2 pollici di diametro) apparentemente poco appetibile ma che dimostra la fattibilità di una lievitazione fisica in sostituzione del lievito. “L’abbiamo provata, ed era croccante e morbida”, dice il professor Di Maio.

«Per realizzare una buona pizza serve che le reazioni di cottura ed espansione siano sincrone, perfettamente coordinate»

Ernesto di Maio

Attenzione internazionale e applicazioni future

Il team di Di Maio è riuscito dunque ad adattare un metodo sviluppato per produrre poliuretano al fine di lievitare/cuocere una pizza perfettamente equilibrata. L’articolo che presenta la scoperta del team federiciano ha attirato molta attenzione in USA. Copertura da CNN e dalla National Public Radio.

Ma soprattutto l’interesse di Nature e di Scientific American proprio perché mutua le esperienze sui polimeri applicandoli alla realizzazione di un impasto per pizza senza lievito.

Il gruppo napoletano sta perfezionando il metodo per creare pizze secondo gusti specifici, per esempio rendendo l’impasto più o meno gommoso. La tecnica potrebbe inoltre consentire la produzione di una pizza senza glutine, visto che offre un maggiore controllo sulle condizioni di cottura e quindi la possibilità di ottenere la consistenza distintiva della pizza utilizzando altri ingredienti. Insomma, dopo aver inventato la pizza, i napoletani vogliono assicurarsi che tutti possano goderne e che l’orticaria a ogni morso diventi solo un ricordo.

Nel caso in cui si riuscisse a portare la rivoluzionaria tecnica nell’ambito di una scala industriale, oltre al vantaggio di evitare additivi chimici, ci sarebbe anche il risparmio di tempo riservato alla lievitazione. Il metodo potrebbe funzionare per qualsiasi impasto destinato alla panificazione come torte o snack, andando incontro alle esigenze dei sempre più numerosi consumatori che sviluppano allergie o intolleranze alimentari.

Il paper “Rheology-driven design of pizza gas foaming” è stato inizialmente pubblicato sulla rivista scientifica Physics of Fluids (https://doi.org/10.1063/5.0081038) ed è a firma di Pietro Renato Avallone, Paolo Iaccarino, Nino Grizzuti, Rossana Pasquino ed Ernesto Di Maio.